Io ho fallito pochissime volte nella vita. Ed è sempre stato un dramma.
All’università invidiavo le mie compagne che “provavano” a superare gli esami, perché in Germania il numero di tentativi è limitato a tre. Cioè, se non passi l’ esame per tre volte, che per regolamento devono essere in tre semestri consecutivi, arriva l’ex-matricolazione.
Quindi, mentre loro ci ”provavano”, io studiavo. Sicuramente perché mi interessava la materia, credo però di dover ammettere che il motivo principale dei fine settimana spesi a studiare fosse la paura di fallire. Sentivo di non avere le risorse per gestire una bocciatura. Perché alla prima sarebbe sicuramente seguita la seconda e arrivata la terza volta neanche valeva la pena riprovarci. Ed ecco, la fine della mia carriera di assistente sociale ancor prima che fosse ufficialmente cominciata. Pensavo questo. Certo, solo pensiero, ma che ansia!
Per questo ho cominciato ad interessarmi al tema del fallimento, a riflettere sul modo in cui le persone sono solite rapportarcisi. Io in primis. Le intuizioni avute le ho riassunte in questo articolo. Potrebbe sembrare che si contraddicano l’una con l’altra, ma in realtà ognuna propone un suo proprio punto di vista. Chissà che considerandole assieme non si arrivi ad avere la visione generale!
INTUIZIONE #1: FALLIMENTO O PENSIERO SUL FALLIMENTO?
Fallire in fin dei conti non significa altro che mancare l’obiettivo. Il fallimento è niente di più e niente di meno di una freccia caduta al di fuori del bersaglio, una palla lanciata un pò più in là. Come può questo fare paura? Infatti non può, perché non è il mancare l’obiettivo a spaventarci. Michael Neill dice:
Non si ha paura di ciò che si pensa ci faccia paura. Si ha paura di ciò che si pensa riguardo a ciò che si pensa ci faccia paura.”
Io dico: “Non si ha paura del fallimento di per sé. Si ha paura di quello che si pensa riguardo il fallimento.“
Per esempio che non riuscire in qualcosa significhi non valere abbastanza nella vita. E’ questo che fa paura, non tanto l’obiettivo non raggiunto.
Infatti quando a lezione di Kickboxing mancavo la fronte della persona davanti a me (e lei invece prendeva in pieno la mia) non mi sentivo affatto un fallita. Anzi! Capivo che solo mancando l’obiettivo più e più volte avrei acquisito l’esperienza necessaria per centrarlo sempre più spesso. Se pensassimo al fallimento come un’opportunità per crescere e per migliorare, lo accoglieremmo sicuramente con più curiosità e spirito di avventura.
INTUIZIONE #2: UNA CORSA AD OSTACOLI
Ma diciamocela tutta, non importa come la rigiriamo: il fallimento è un ostacolo al raggiungimento dei nostri obiettivi, giusto? Beh, non è proprio così.
Immagina un sindacato olimpionico che si batte per abolire le barriere – quindi gli ostacoli stessi – nella corsa ad ostacoli. Questo perché, cito l’ipotetico manifesto sindacale, “le suddette barriere impediscono agli atleti e alle atlete il facile raggiungimento della linea del traguardo”. Sarebbe un controsenso, non lo pensi anche tu? Sono gli ostacoli a caratterizzare la disciplina della corsa… ad ostacoli! Insomma, fanno parte del gioco.
Nella corsa ad ostacoli non ci si allena per raggiungere il traguardo nonostante le barriere poste sul percorso. Ci si allena per raggiungere il traguardo proprio con le barriere poste sul percorso.
Chi vince in questa disciplina, non è certo chi fa gli esercizi pensando “Uff, che fatica. Altro che la corsa in piano, quella senza ostacoli. Quello sì che è vincere facile”. Chi vince in questa disciplina è chi considera l’ostacolo parte integrante del percorso. E così è nella vita: se inciampando nei problemi della vita, grandi i piccoli che siano, ti lamenterai di averne trovati, avrai un’esperienza molto faticosa del percorso. Se invece li considererai per quello che in realtà sono, eventi che semplicemente accadono, ecco che ti sembrerà quasi di correre in piano!
Come dicono Rich Chandler e Steve Litvin:
l fallimento non è un problema che incontrerai sul tuo percorso. E’ il modo in cui arriverai al traguardo.

INTUIZIONE #3: RAGGIUNGERE O NON RAGGIUNGERE LA VETTA?
L’ultima riflessione sul fallimento non riguarda né i blocchi di partenza, né il percorso, bensì l’arrivo, la vetta.
Qui cambio metafora perché la fonte di queste considerazioni è l’alpinista Simone Moro che nel suo libro “Ho visto l’abisso” ha messo in fila, capitolo dopo capitolo, i suoi più clamorosi fallimenti. Facendone l’elogio, perché alcuni di questi gli hanno letteralmente salvato la vita.
Simone Moro è un alpinista invernale. Verso il tetto del mondo lui si mette in marcia d’inverno. Si potrebbe dire che ne aggiunge di ostacoli, invece che cercare di scansarli! Ebbene in più d’una di queste spedizioni, a volte a pochi metri dalla cima, lui ha deciso di fallire e se n’è tornato indietro. Sembra una decisione ovvia, banale, facile quella di rinunciare ad una vetta per aver salva la vita. Ma per un alpinista professionista la carriera e il sostentamento economico dipendono dalle vette raggiunte. Decidere in condizioni di estremo sforzo e in carenza di ossigeno di rinunciare alla vetta non è quindi una scelta scontata.
Ad ispirarmi particolarmente fu una sua frase, sentita in un’intervista promozionale scovata su YouTube, che traduce in parole la leggerezza con cui desidero imparare ad approcciare il fallimento:
Torneremo con o senza la cima. Ma sicuramente con una storia da raccontare.
Perché in fin dei conti la vita è fatta di storie, raccontino esse di vette o di abissi. E forse il vero successo è poterle raccontare tutte quante.
Ed ora sono curiosa di sapere qualcosa di te: quale delle mie intuizioni ti ha colpito di più? Qual è la tua storia? Come affronti i fallimenti? Condividilo qui sotto!
Alla prossima!
Anna
Grande Anna! Fantastico quello che scrivi e come lo scrivi!
Tutte e tre le “intuizioni” che riporti sono illuminanti.
La prima mi ha ricordato una citazione che Michael Neil riporta al giorno 36 nel suo libro “Creare l’impossibile”. La citazione dice: “Tutti falliscono…. Quando fallisci, fallisci velocemente…”. Mi piace l’idea (molto diversa da quello che faccio normalmente io) di lasciar fluire velocemente il malessere, imparare dagli errori e riprovare subito in altro modo.
La seconda la trovo così chiara da far sorridere. È una metafora eccezionale.
La terza mi ha ricordato tutte le volte che non mi godo il percorso, pieno di bellezza, pensando che sarò felice solo una volta arrivata alla cima.
GRAZIE ANNA
Riesci a far cogliere il tuo sorriso travolgente anche attraverso la scrittura!!
Ciao Giuliana,
sono io che ringrazio te per aver condiviso la citazione di Michael Neill “quando fallisci, fallisci velocemente!”.
Non solo mi ha strappato una risata ma mi regala tanta leggerezza.
GRAZIE!
Carissima Anna grazie.
Impossibile per me scegliere adesso quale intuizione mi ha colpito di più. Tutte mi hanno mostrato il nervo scoperto. A volte neppure me ne accorgo tanto è radicata in me la paura di fallire. O meglio il pensiero sul fallimento. Che poi non è che il viaggio non lo intraprendo, ma posso godermelo di più.
Com’è che si dice: un nuovo inizio è sempre possibile. Quindi inizio a muovermi con più grazia e leggerezza.
Un abbraccio e al prossimo articolo ispirante. Agnese
Ciao Agnese,
sono contenta che il mio articolo ti abbia dato diversi spunti di riflessione.
Alla prossima!
Bellissimo Anna. Il modo in cui hai parlato della corsa ad ostacoli è stato illuminante! Girerò questo articolo ad un sacco di persone. Grazie per la freschezza e le metafore sportive che hai usato che hanno reso così bene la sensazione di estrema chiarezza che hai trasmesso.